Fateci votare

The Union
3 min readSep 26, 2020

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Negli Stati Uniti è più facile perdere il diritto a votare che esercitarlo. Un tema ancor più importante in occasione di elezioni così delicate come quelle di quest’anno in cui si farà ampio utilizzo a causa del Covid-19

Il voto è il diritto alla base di ogni democrazia, quello che la qualifica come tale. Eppure negli Stati Uniti il rispetto di questo fondamentale diritto è ancora qualcosa per cui è necessario lottare, in particolar modo se si fa parte di una minoranza etnica. Il processo elettorale statunitense è molto complesso: prevede una registrazione da effettuare anche con molto anticipo, distretti elettorali disegnati a volte in modo tale da favorire uno schieramento politico piuttosto che un altro. Il tema della registrazione alle liste elettorali, ha spiegato il professor Daniele Fiorentino nel corso dell’ultima puntata di The Union, è un fatto che risale agli inizi dell’Ottocento quando alcuni Stati, perlopiù quelli della costa Atlantica, decisero di introdurre questo sistema per cercare di governare l’afflusso alle urne e per garantire ai residenti stabili di controllare meglio la politica locale a seguito di una migrazione di massa proveniente dall’Europa. Questo sistema, prosegue Fiorentino, si è via via diffuso in tutti gli Stati Uniti, ad eccezione del North Dakota dove non è necessaria la registrazione, ed è andata a colpire la parte più debole della società: gli immigrati prima e gli afroamericani dopo che gli era stato riconosciuto e garantito il diritto di voto con il XV emendamento.

Se è difficile guadagnarsi la possibilità di veder contato il proprio voto, è molto facile perdere questo diritto. È quello che capita quando si finisce in carcere o si è imputati di alcuni crimini: un bel problema, visto che gli Stati Uniti sono primi al mondo per popolazione carceraria. Per quanto riguarda le liste elettorali, tra il 2016 e il 2018 sono stati cancellati più di 17 milioni di nomi, impedendo l’accesso al voto ad una media del 7,6% degli elettori. «La più grande democrazia occidentale» dice a The Union Emiliano Bos, corrispondente da Washington per la Radiotelevisione svizzera, «ha tuttora dei limiti massicci per quanto riguarda il diritto di voto e non permette a tutti i suoi cittadini di partecipare ad un momento così importante nella vita del Paese».

Ad aggiungere ulteriori incognite a queste elezioni presidenziali del 2020 c’è l’epidemia di coronavirus e il conseguente aumento del ricorso al voto per posta come strumento per esprimere la propria preferenza. In cinque Stati era un meccanismo già automatico: l’elettore riceveva la scheda elettorale per posta senza doverla richiedere. A causa della pandemia, altri cinque Stati hanno ampliato le motivazioni per cui è possibile richiedere l’absentee ballot, tra cui gli swing states Pennsylvania e Michigan che in un’elezione combattuta come quella del 2020 hanno un’importanza fondamentale. L’implementazione del voto per posta è stata una mossa non molto gradita dal presidente Donald Trump, che più volte ha provato a screditarla, nonostante lui stesso se ne sia avvalso in più occasioni, l’ultima delle quali in occasione delle primarie repubblicane in Florida dello scorso marzo.

Quasi certamente, il nome del vincitore di queste presidenziali non arriverà la notte dell’election day, il prossimo 3 novembre. La Pennsylvania, ad esempio, ha già dichiarato che conterà i voti arrivati per posta fino al 6 novembre (a patto che siano stati spediti prima del 3), un procedimento che potrebbe protrarsi molto a lungo.

Se volete approfondire ancora l’argomento del diritto di voto, vi invitiamo ad ascoltare il nostro podcast «Vote!».

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Written by The Union

Pagina e podcast di approfondimento sulla politica, sull’attualità e sulla cultura statunitense. A cura di Alessia Gasparini e Eric Gad

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